diSimona De Ciero
Sono oltre 90 mila le persone over 70 anche solo parzialmente
non autosufficienti. Costi altissimi e i lunghi tempi di risposta della Sanità costringono le famiglie a spese a volte impossibili
In Piemonte ci sono oltre 90 mila casi di demenza e, tra questi, poco meno di 80 mila malati di Alzheimer. Persone almeno parzialmente non autosufficienti, che vanno aiutate e che spesso devono lasciare la propria casa per trasferirsi in Rsa, residenza sanitaria assistenziale per anziani. Ma i posti non bastano per tutti, così come i soldi pubblici messi a disposizione per coprire i costi.
Che succede, però, quando il malato o la famiglia del malato non ce la fa a sostenere le spese? Si è costretti a rivolgersi alle strutture più economiche che ovviamente offrono meno servizi, hanno poco personale sanitario e quasi mai un medico in sede. E che, non di rado, sono periodicamente attenzionate dai Nas i quali, una volta intervenuti, di norma fanno trasferire gli anziani in ospedale. Secondo gli ultimi dati della Regione (giugno 2024), sul territorio si contano 35.703 posti letto accreditabili in Rsa; di questi, 3.769 si trovano nell’alessandrino, 2.161 nell’astigiano, 1.568 nel biellese, 3.134 presso l’Asl Cuneo 1 e 1.534 nella Cuneo 2, 2.391 nel novarese, 6.663 a Torino, 4.605 afferiscono all’Asl To3, 4.697 alla To4, 2.441 alla To5 mentre 1.313 sono nel Verbano Cusio Ossola e 1.427 nel vercellese.
Quanto costa inserire un parente non autosufficiente in Rsa? La forbice dei prezzi è molto ampia (dai 2 mila agli oltre 4 mila euro al mese) e varia a seconda del livello di cura necessario e stabilito per ogni paziente dopo una visita sanitaria (detta unità di valutazione geriatrica, uvg) che ne determina la fascia assistenziale: a intensità alta-incrementata, alta, medio-alta, media, medio-bassa e bassa. Le tariffe di ricovero sono stabilite a livello regionale sulla base di una delibera del 2013 alla quale sono stati applicati due correttivi, il primo nel 2022 e il secondo la scorsa primavera. Quando la commissione Uvg riconosce il diritto alla convenzione, il 50% della quota sanitaria di ricovero è a carico dell’Asl di residenza mentre il restante 50% (detto quota sociale) grava sull’anziano, a meno quest’ultimo non abbia un reddito insufficiente per partecipare alla spesa. In quel caso, infatti, a intervenire dovrebbe essere il Comune di residenza integrando o facendosi carico totalmente dei costi. Qui il condizionale però è d’obbligo perché le norme, scolpite sugli atti ufficiali, si scontrano con una realtà sostanzialmente diversa.
Nel 2021 (secondo gli ultimi dati ufficiali disponibili) erano circa 5 mila i pazienti non autosufficienti in lista d’attesa per la valutazione geriatrica; persone i cui casi sono da considerarsi in stand by e alle quali le Asl non riconoscono l’erogazione del contributo di ricovero. Un dato peraltro parziale e ampiamente sottostimato, perché non terrebbe conto di tutti i malati in lista d’attesa già negli anni precedenti al 2021 e che, secondo le Rsa, corrisponderebbero almeno a 15 mila degenti che, obtorto collo, starebbero pagando privatamente l’intera retta di ricovero. Importi che sovente fiorano i 4 mila euro al mese (senza contare i costi di tutte le prestazioni extra tariffarie) e che invece, potendo beneficiare della convenzione con il sistema sanitario pubblico, non dovrebbero superare i 1.500 euro; una cifra comunque significativa ma certo più sostenibile per gran parte dei pensionati piemontesi e per le loro famiglie.
È il caso del signor L. la cui madre, malata pluri-patologica cronica e non autosufficiente con indennità di accompagnamento, da oltre due anni è ricoverata privatamente, la spesa per la sua assistenza ormai supera gli 80 mila euro l’anno. Nonostante questo, però, l’Asl di riferimento continua a definire la pratica «non urgente», così come la valutazione socioeconomica del suo caso.
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