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Cosa sono le keybox, i portachiavi divenuti simbolo del turismo fuori controllo #finsubito finanziamenti e gestione bed & breakfast


Piccole scatole di plastica nera che spuntano ovunque, come funghi di metallo sui muri dei centri storici. Le keybox, o lockbox come vengono anche chiamate, sono cassettine porta-chiavi vengono installate all’esterno degli edifici – su cancelli, inferriate, muri e persino monumenti storici – per permettere ai turisti di accedere agli appartamenti affittati online senza dover incontrare fisicamente il proprietario. Un sistema di self check-in che si è diffuso a macchia d’olio negli ultimi anni, parallelo al boom degli affitti brevi su piattaforme come Airbnb e Booking.

Come funzionano le keybox

Il meccanismo è semplice: il proprietario comunica al turista un codice numerico per aprire la keybox e recuperare le chiavi dell’appartamento. Una soluzione pratica che ha trasformato migliaia di abitazioni private in micro-alberghi automatizzati, moltiplicando esponenzialmente l’offerta di alloggi turistici nei centri storici. Non c’è più solo il classico bed & breakfast amministrato dal proprietario in persona: le keybox hanno reso possibile la gestione a distanza di centinaia di migliaia di appartamenti, spesso affidati a società specializzate che se ne occupano per conto dei proprietari.

Da simbolo di modernità e praticità, le keybox sono ora diventate il bersaglio più visibile della protesta contro l’overtourism, il turismo di massa, che sta modificando il volto dei centri storici. La loro presenza capillare viene vista come il segno tangibile dello spopolamento delle città d’arte, dove sempre più appartamenti vengono sottratti al mercato degli affitti lunghi per essere destinati ai turisti.

Le proteste nelle città d’arte

Firenze è stata la prima a prendere provvedimenti concreti. Gli attivisti di Salviamo Firenze hanno coperto le cassettine del centro con adesivi rossi a X, spingendo l’amministrazione a prendere una decisione: dal 2025 sarà vietato installare keybox in tutta l’area Unesco, circa due chilometri di centro storico. Come d’altronde già succede in Francia, Parigi e a New York. La sindaca Funaro ha inserito il divieto in un piano più ampio che limita anche golf car turistiche e le guide con altoparlanti.

La protesta si è rapidamente diffusa anche in altre città. A Roma gli attivisti hanno coperto le keybox con cappelli da Robin Hood. Lo stesso gesto è stato replicato a Bologna, dove il centro storico sta vivendo una trasformazione radicale dovuta alla pressione turistica. A Milano i comitati dei Navigli hanno invece creato una mappatura dal basso delle keybox, marcandole con adesivi lilla e gialli per denunciare la trasformazione dei quartieri. A Napoli la protesta ha trovato spazio sulle serrande delle edicole chiuse, trasformate in manifesti contro l’overtourism.

I numeri del fenomeno e le soluzioni

Il fenomeno degli affitti brevi ha assunto dimensioni considerevoli in Italia. Secondo i dati dell’Aigab (Associazione italiana gestori affitti brevi) citati dal Corriere, si parla di 640mila immobili per 2,5 milioni di posti letto. Il 96% appartiene a singoli proprietari, mentre il 25% è gestito da operatori professionali, per un totale di circa 30mila gestori specializzati. Su 9,6 milioni di case non utilizzate in Italia, una fetta significativa si trova proprio nei centri storici, dove i proprietari preferiscono l’affitto breve a quello tradizionale. La distribuzione sul territorio è disomogenea.

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