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Mal comune, mezzo gaudio. Le imprese italiane non sono le uniche a lamentarsi delle difficoltà (e dei ritardi) dell’iter per ottenere i prestiti bancari garantiti dallo Stato per combattere l’emergenza Coronavirus. La Gran Bretagna ha appena rivisto tutti i suoi schemi dopo le proteste di migliaia di aziende che non riuscivano a ottenere soldi di cui avevano diritto, garantendo quella copertura al 100% che aveva inizialmente negato alle Pmi. Il 3 aprile, giorno del lancio del maxi-salvagente Usa da 350 miliardi, solo due banche – Jp Morgan e Bofa – erano pronte ad aprire il portafoglio. In Francia, dove pure le cose sono andate meglio e sono già stati distribuiti 43 miliardi, il 5% delle società si è vista respingere la richiesta. Un quadro pieno di buchi e di resistenze del credito dove brilla, un’incollatura davanti all’efficiente Germania, un solo paese: la Svizzera, dove il processo della concessione degli aiuti e di liquidità ha funzionato come un orologio. Con i quattrini arrivati a volte nel giro di poche ore sui conti correnti delle aziende regalando a tutte una benefica boccata d’ossigeno, al punto da convincere Berna a raddoppiare da 20 a 40 miliardi il paracadute per l’economia.

Quale è il segreto del modello rossocrociato? Facile (a dirsi): la semplicità delle procedure, l’ottima conoscenza dei clienti da parte delle banche, il pressing della Segretario di Stato dell’economia per fare presto e la decisione del Controllo federale delle finanze, l’organo di vigilanza, di effettuare solo controlli a campione per non imballare il sistema. Obiettivo: dare ossigeno a un paese che prevede di chiudere il 2020 con un pil in calo tra i 7 e i 10 punti percentuali.

Il quadro delle agevolazioni a disposizione è semplice: la legge garantisce alle piccole imprese in poche ore un massimo di 500mila euro (il 10% del fatturato) dietro presentazione di un’autocertificazione e da restituire in cinque anni a tasso zero. Le aziende più grandi arrivano a 20 milioni con l’85% garantito dallo stato e un tasso allo 0,5%. Un fiume di denaro che sommato ai 22 miliardi stanziati per il rinvio delle scadenze fisali e gli aiuti alle persone che lavorano a orario ridotto (il 29% degli occupati) dovrebbe pilotare la Svizzera – così spera il governo – verso la fine dell’emergenza.

Come si accede a questa pioggia di denaro? I prestiti per le pmi hanno un iter semplice: si compila un modulo online (“tempo stimato per completarlo 10 minuti”, dice il sito del governo) dove si precisano dati dell’impresa, si autocertificano i danni da Covid e la solvibilità e si comunicano il giro d’affari 2019 e l’Iban. Da lì in poi, specie per chi è abituato ai tempi italiani, la pratica corre alla velocità della luce.  L’ok al finanziamento da 500mila euro – dice il sito del Credit Suisse – è garantito “in poche ore”. Quello fino a 20 milioni “in pochi giorni”. Tutti i principali istituti elvetici hanno messo al lavoro task force dedicate per reggere l’onda d’urto delle richieste. Sfruttando tra l’altro per snellire le procedure l’eccellente conoscenza del territorio e delle singole imprese dei loro uffici fidi. Ubs, per dire, cha ha messo al lavoro 100 robot e 300 dipendenti per processare le domande di prestiti. Il governo ha alleggerito i requisiti di liquidità per gli istituti di credito per non rallentare il flusso di aiuti. E tutto ha funzionato senza intoppi e in tempi rapidissimi.

Come finanzierà Berna questo “poderoso” ed efficientissimo sostegno all’economia? Il modello svizzero anche su questo fronte parte avvantaggiato. Il bilancio 2020, prevede il governo, chiuderà con un deficit di 30-40 miliardi. Il bello però è che solo negli ultimi tre anni la Svizzera Spa aveva chiuso i conti dello Stato con un attivo di oltre 10 miliardi e che il rapporto debito lordo/pil è pari al 13,9%.  Numeri che spiegano da soli come mai le banche locali abbiano piena fiducia nella solvibilità delle casse pubbliche.
 

 

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