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Anche per lui l’accusa è pesantissima: favoreggiamento aggravato dall’avere aiutato Cosa nostra. Sospetti che cozzano con il suo passato di impegno nella lotta alla criminalità organizzata, prima in Sicilia, poi in Calabria, e con l’inchiesta Mafia Capitale a Roma. Dopo Gioacchino Natoli, ex pm del pool antimafia di Falcone e Borsellino, nel registro degli indagati della Procura di Caltanissetta, è finito Giuseppe Pignatone, magistrato di altissimo profilo, per anni aggiunto a Palermo, poi procuratore a Reggio Calabria e a Roma, ora giudice del tribunale Vaticano. 

Questa mattina Pignatone è stato sentito dagli ex colleghi nisseni che, nell’ambito dell’inchiesta sulle stragi del ’92, indagano sul presunto insabbiamento del cosiddetto dossier mafia-appalti, una indagine parzialmente archiviata negli anni ’90 che, secondo alcuni, potrebbe essere il reale contesto in cui è maturato l’attentato al giudice Paolo Borsellino. Il magistrato, sostengono in particolare i suoi familiari, auditi anche dalla commissione Antimafia, sarebbe stato eliminato proprio per impedirgli di indagare sulle infiltrazioni mafiose nei grandi appalti. “Ho dichiarato la mia innocenza in ordine al reato di favoreggiamento aggravato ipotizzato. Mi riprometto di contribuire, nei limiti delle mie possibilità, allo sforzo investigativo della Procura di Caltanissetta”, ha detto l’ex capo dei pm romani che, secondo quanto si apprende, si sarebbe limitato a respingere le accuse, non entrando nel merito della questione. Prima di lui, Natoli si era avvalso della facoltà di non rispondere ribadendo la sua piena fiducia nella giustizia. 

“Darò senz’altro il mio contributo nell’accertamento della verità”, aveva replicato l’ex pm. In sintesi – ma la questione è molto complessa – secondo gli inquirenti, Natoli e Pignatone, dietro la regia dell’ex procuratore Pietro Giammanco, nel frattempo deceduto, per aiutare imprenditori mafiosi come Francesco Bonura e Antonio Buscemi avrebbero cercato di insabbiare un filone dell’indagine mafia-appalti. A Natoli, in particolare, i pm hanno contestato di aver finto di indagare su una tranche del dossier che riguardava infiltrazioni mafiose nelle cave di Massa Carrara, con la complicità dell’allora capitano della Guardia di Finanza Stefano Screpanti, pure lui indagato. 

Natoli avrebbe disposto intercettazioni lampo e “solo per una parte delle utenze da sottoporre necessariamente a captazione”, hanno scritto i pm, evitando così che fossero trascritte invece conversazioni “particolarmente rilevanti dalle quali sarebbe emerso, ad esempio, il legame tra l’ex politico Ernesto Di Fresco e Francesco Bonura”. Come se non bastasse, per Caltanissetta, “per occultare ogni traccia del rilevante esito delle intercettazioni telefoniche, avrebbe disposto la smagnetizzazione delle bobine e la distruzione dei brogliacci”. Una ipotesi, quest’ultima, che stride con la realtà perchè le bobine non sono mai state distrutte e sono state trovate negli archivi della Procura di Palermo. Pignatone, già anni fa, venne indagato per una vicenda che ruotava attorno ad alcuni immobili che il padre aveva acquistato da Buscemi, ma l’indagine venne archiviata. Tutta la vicenda, infine, deve fare i conti con l’insormontabile ostacolo della prescrizione ormai maturata da tempo, visto che i fatti contestati risalgono a oltre 30 anni fa.

Il servizio di Cristoforo Spinella

 

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