Nella manovra 2025 il governo punta alla conferma di un pacchetto di misure per dare una spinta alle retribuzioni dei lavoratori, si ragiona di una serie di interventi che costano oltre 15 miliardi. Il piatto forte è rappresentato dalla conferma anche per il 2025 del taglio del cuneo contributivo di 7 punti per le retribuzioni fino a 25mila euro lordi annui e di 6 punti fino a 35mila euro. La misura sta interessando circa 14 milioni di lavoratori dipendenti con un vantaggio di circa 100 euro al mese in busta paga. Per la conferma dell’intervento, su cui a partire dalla premier, Giorgia Meloni, si sono detti tutti d’accordo, occorrono 9,4 miliardi. Altro pilastro è la conferma della rimodulazione delle aliquote Irpef, taglio da quattro a tre, come ipotesi di base che da sola vale 4 miliardi. All’interno della maggioranza, in primis la Lega, spinge su un possibile intervento aggiuntivo sia per ridurre dal 35 al 33% l’aliquota Irpef intermedia, sia per innalzare fino a 60mila euro il limite dello scaglione, oltre il quale scatta l’aliquota del 43%. Questa nuova misura coinvolgerebbe circa 8 milioni di lavoratori, rappresentanti del cosiddetto ceto medio, con un costo ulteriore valutabile sui 4 miliardi.
Verso la conferma della detassazione al 5% dei premi di produttività
Viaggia verso la conferma anche la tassazione al 5% per i premi di produttività entro i 3mila euro d’importo, per redditi fino a 80mila euro; l’incentivo scade a fine anno (la precedente tassazione era del 10%). Questa misura è considerata una priorità dal ministro del Lavoro, Marina Calderone, insieme agli interventi a favore della genitorialità. Anche perché la misura sta funzionando. A metà luglio, come emerge dagli ultimi dati del ministero del Lavoro, i contratti attivi che prevedono premi di risultato sono 15.186, il 23,9% in più rispetto alla stessa data del 2023. A beneficiarne (4,4 milioni di lavoratori – oltre 3 milioni con contratti aziendali e 1,4 milioni con contratti territoriali – a cui è corrisposto un importo annuo medio pari a 1.509 euro.
Più delicata è la partita del bonus mamme, in scadenza a fine anno quella (sperimentale) per le lavoratrici madri con almeno due figli, che sono circa 570mila, e che oggi stanno usufruendo di questo incentivo rafforzato (azzeramento dei contributi a carico fino a compimento del decimo anno del figlio più piccolo). Per le lavoratrici madri con almeno tre figli questo incentivo è triennale. I tecnici del governo stanno cercando di contenere i costi per confermare l’intervento per le lavoratrici con due figli, l’alternativa è farlo scadere.
Si potrebbero uniformare le soglie dei fringe benefit esentasse
Un altro tema con ricadute rilevanti sul potere d’acquisto dei lavoratori sono i fringe benefit. Dopo l’apertura, nei giorni scorsi del ministro Calderone, si potrebbe ampliare il novero dei beni e servizi erogabili ai lavoratori all’interno dei fringe benefit esentasse le cui soglie sono state innalzate (ma solo per quest’anno). Per effetto della scorsa manovra, per il periodo d’imposta 2024, gli importi erogabili attraverso fringe benefit esentasse sono passati da 258,23 a mille euro per tutti i dipendenti. Per i lavoratori con figli fiscalmente a carico sale fino a 2mila euro il limite di esenzione dei fringe benefit, che comprendono le somme erogate o rimborsate dal datore per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale, oltre che le spese per l’affitto o il mutuo della prima casa. A queste voci potrebbero aggiungersi i contributi alla sanità integrativa. Una fetta della maggioranza preme per uniformare il tetto dei fringe benefit esentasse, portandolo a 1.500-2mila per tutti, risorse permettendo. Riflessione aperta nel governo, poi, sulla superdeduzione al 120/130%, anche in questo caso l’intenzione è di confermarla.
Nella Pa: fino a 70 anni su decisione del lavoratore e dell’amministrazione
Passando invece al lavoro pubblico, l’ipotesi allo studio è di consentire alla PA di individuare il personale che, su base volontaria possa essere trattenuto in servizio, anche oltre i 67 anni di età previsti per il collocamento in quiescenza – ma non oltre il settantesimo anno di età – per lo svolgimento di attività di tutoraggio e affiancamento, o per esigenze funzionali non diversamente assolvibili. La scelta di restare in servizio non sarà presa solo dal lavoratore, ma anche dall’amministrazione d’appartenenza.
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