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A prescindere dalle ragioni sottese alla decisione della Federazione, l’inasprimento delle “sanzioni” per il ricorso agli istituti di regolazione della crisi comporta alcune criticità sotto profilo della compatibilità con l’ordinamento statale ed i principi di ragionevolezza e proporzionalità applicabili anche all’ordinamento sportivo. 

Come detto, i rapporti tra il Codice della Crisi (e in generale la normativa statale) e quella sportiva sono improntati al riconoscimento dell’autonomia reciproca, fatto salvo il caso in cui la giurisdizione Statale debba intervenire per risolvere controversie che concernono la violazione di diritti soggettivi che, come tali, hanno rilevanza per l’ordinamento statale (cfr. art. 1 D.L. n. 220/2003 cit. sub nota 3).   

È noto che la partecipazione alle sessioni del calciomercato è una componente essenziale dell’attività d’impresa delle società di calcio (che, come detto, sono “imprese” a tutti gli effetti): le società di calcio diventano competitive acquisendo e vendendo le prestazioni professionali dei calciatori. L’equilibrio economico-finanziario del sistema calcio in Italia, inoltre, nella maggior parte dei casi si basa sulla valorizzazione (nell’ottica di una futura cessione) dei giovani calciatori cresciuti nei settori giovanili delle squadre di calcio (i c.d. “vivai”) e, più spesso, sulla ricerca da parte di osservatori e procuratori di giovani talenti presso altre squadre giovanili (c.d. attività di scouting). 

Conseguentemente, l’impossibilità di acquistare le prestazioni sportive dei calciatori per diverse sessioni mercato (fino ad un massimo di quattro) costituisce un’evidente limitazione all’attività caratteristica dell’impresa calcistica e, quindi, di un “diritto soggettivo” (lo svolgimento dell’attività d’impresa), la cui legittimità deve essere verificata alla luce dei principi fondamentali dell’ordinamento Statale, tra cui il principio di libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost).  Inoltre, la legittimità dell’esclusione dal calciomercato ex art. 90 NOIF (al pari di ogni altra “sanzione” per il ricorso agli strumenti di regolazione della crisi previsti dal Codice della Crisi), deve rispettare i fondamentali principi di “ragionevolezza” e “proporzionalità”. Tali principi, infatti, sono applicabili sia nell’ordinamento amministrativo che in quello sportivo (vista la natura sostanzialmente pubblicistica dell’attività di governo e normazione esercitata dalla FIGC) [28]. 

Il principio di “ragionevolezza” non ha un riferimento espresso nella Costituzione, ma è desumibile quale corollario del principio di buon andamento della P.A. previsto dell’articolo 97 Cost. In forza di tale principio, l’azione della P.A. (e, quindi, delle istituzioni sportive) deve essere adeguata ad un canone di razionalità operativa, imparzialità, uguaglianza e buon andamento in astratto, per evitare decisioni arbitrarie o irrazionali da parte dei soggetti pubblici [29]. 

Il principio di “proporzionalità” non ha un esplicito richiamo in Costituzione ma è ormai riconosciuto quale principio fondamentale del diritto comunitario [30]. Esso comporta, nello specifico, l’obbligo della pubblica amministrazione di esercitare il proprio potere nei confronti dei singoli destinatari dell’azione pubblica (o meglio, del provvedimento amministrativo) nei limiti di quanto strettamente necessario per raggiungere lo scopo cui l’esercizio del potere è finalizzato. Il Consiglio di Stato ha, infatti, precisato che “i diritti e le libertà dei cittadini possono essere limitati solo nella misura in cui ciò risulti indispensabile per proteggere gli interessi pubblici”; pertanto: “ogni provvedimento utilizzato dalla pubblica amministrazione, specialmente se sfavorevole al destinatario, dovrà essere allo stesso tempo necessario e commisurato al raggiungimento dello scopo prefissato per legge. Conseguentemente ogni qualvolta sia possibile operare una scelta tra più mezzi alternativi, tutti ugualmente idonei al perseguimento dello scopo, andrebbe sempre preferito quello che determini un minor sacrificio per il destinatario, nel rispetto del giusto equilibrio tra vari interessi coinvolti nella fattispecie concreta” (Consiglio di Stato, sez. IV, Sent. n. 964 del 26.02.2015) [31]. Nonostante la derivazione comunitaria, il principio di proporzionalità è stato progressivamente applicato dai giudici nazionali anche a fattispecie estranee al diritto comunitario ed è stato formalmente recepito nell’ordinamento nazionale dall’articolo 1 della l. 241 del 1990, come modificata nel 2005.  Ai sensi di tale norma l’attività della pubblica amministrazione, nel perseguimento dei fini determinati dalla legge, deve essere retta “da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge […], nonché dai principi dell’ordinamento comunitario” (tra cui, appunto, il principio di proporzionalità). 

Applicazione di tale principio nelle regole dell’ordinamento sportivo è stata recentemente fatta nella nota sentenza Superlega, in cui la Corte di Giustizia ha precisato che i requisiti e le sanzioni previsti dall’UEFA e dalla FIFA per l’autorizzazione e la partecipazione a manifestazioni organizzate da soggetti terzi (nel caso di specie la “Superlega”) devono essere, tra l’altro, conformi al principio di proporzionalità [32]. 

In particolare, secondo i massimi Giudici dell’Unione, i requisiti prefissati dall’UEFA “qualora non siano disciplinate da criteri sostanziali e da modalità procedurali atti a garantirne il carattere trasparente, oggettivo, preciso, non discriminatorio e proporzionato” sono incompatibili con l’ordinamento unionale in quanto “presentano, per loro stessa natura, un sufficiente grado di dannosità per la concorrenza” (par. 178 della sentenza Superlega, cit. sub nota 2).  Con specifico riguardo alle sanzioni previste dall’UEFA per le società di calcio, la Corte di Giustizia ha chiarito che “per non essere discrezionali, le sanzioni previste in via accessoria alle norme in materia di previa autorizzazione e di partecipazione […] devono essere disciplinate da criteri che non solo devono essere, anch’essi, trasparenti, oggettivi, precisi e non discriminatori, ma che devono anche garantire che dette sanzioni siano determinate, in ciascun caso concreto, nel rispetto del principio di proporzionalità tenuto conto, segnatamente, della natura, della durata e della gravità della violazione accertata” (par. 151 della Sentenza Superlega cit. sub nota 2). 

Le restrizioni e le sanzioni imposte dalla FIGC alle società di calcio che decidono di avvalersi degli strumenti di regolazione della crisi presentano diversi profili di criticità rispetto ai soprariportati principi. 

In primo luogo, come detto, la maggior parte delle società di calcio in Italia riesce a raggiungere una situazione di equilibrio economico-finanziario solo grazie all’attività del calciomercato in quanto, in assenza delle plusvalenze ottenute con le compravendite dei giocatori, il loro conto economico sarebbe perlopiù in perdita [33]. Pertanto, il divieto tout court di acquistare i diritti alle prestazioni dei calciatori per due sessioni di calcio mercato (potenzialmente tre o quattro nel caso vi siano sessioni previste durante pendenza del procedimento di omologa) comporta ragionevolmente un pregiudizio all’esercizio dell’attività di impresa calcistica in quanto impedisce proprio l’attività che consente alla maggior parte delle società di calcio di preservare il proprio equilibrio economico-finanziario. L’applicazione di tale divieto, infatti, esporrebbe paradossalmente le società di calcio al rischio di ritrovarsi in una situazione di squilibrio economico-finanziario (o peggio di “crisi”) proprio per aver adottato un rimedio (lo strumento di regolazione della crisi) finalizzato a consentire alla società di uscire da una situazione di crisi originata da uno squilibrio economico finanziario.  A ben vedere, però, è l’intero impianto sanzionatorio previsto dalle NOIF in caso di crisi finanziaria da parte delle società di calcio ad apparire eccessivamente restrittivo (anche tenuto conto della legittima finalità di preservare il corretto svolgimento delle competizioni sportive) e incoerente con l’evoluzione normativa a livello nazionale ed europeo del diritto della crisi degli ultimi 15 anni (v. supra sub 1, pagg. 4 e 5). Basti ricordare che le NOIF prevedono, da un lato, che una società di calcio non possa iscriversi al campionato se non sia regolarmente adempiente, tra l’altro, agli obblighi di pagamento dei tesserati (retribuzioni ai dipendenti e collaboratori e dei relativi contributi e ritenute fiscali e versamento delle imposte) e di presentazione di specifiche fideiussioni in caso di perdite d’esercizio (v. supra sub 1); dall’altro, che il ricorso agli strumenti di regolazione della crisi sia possibile solo in continuità diretta (escludendo così gli strumenti di regolazione in continuità indiretta o liquidatori); infine, che, anche in caso di ricorso agli strumenti in continuità diretta, le società di calcio non possano partecipare al calciomercato per due o più sessioni con un’evidente limitazione nello svolgimento della propria attività caratteristica (v. supra sub 2). 

In secondo luogo, il divieto previsto dall’art. 90 NOIF si applica indiscriminatamente a tutte le ipotesi di ristrutturazione in continuità diretta.  L’esperienza dimostra che le ristrutturazioni delle società di calcio hanno presupposti, contenuto ed esiti diversi che potrebbero giustificare un diverso trattamento sanzionatorio (v. supra sub 4). Basti pensare che il piano di risanamento della Reggina prevedeva una percentuale di soddisfazione esigua (5%), nessun cambio di controllo e la necessità di un’omologa con cram down fiscale da parte del Tribunale stante il disaccordo dell’Agenzia delle Entrate e dell’INPS. Il piano di risanamento della Sampdoria ha ottenuto l’adesione di circa il 90% del ceto creditorio (incluso l’Agenzia delle Entrate e il garante SACE) e ha comportato degli stralci decisamente minori (dal 65% del debito fiscale pari al 50% del valore nominale del debito effettivo, al 30-40% di quello dei fornitori). Inoltre, il risanamento della Sampdoria ha determinato un cambio di controllo in quanto l’azionista è stato progressivamente diluito a seguito delle successive conversioni in capitale del prestito obbligazionario prededucibile sottoscritto dai nuovi investitori. La nuova finanza messa a disposizione dal nuovo azionista è stata, quindi, utilizzata per il pagamento dei creditori, in particolare del debito sportivo (requisito indefettibile per l’iscrizione al campionato), il pagamento parziale degli altri creditori (con uno stralcio diverso a seconda del rango di chirografari e privilegiati) e il finanziamento del circolante e degli investimenti per la prosecuzione dell’attività di impresa [34].  

Il piano di risanamento del Genoa non ha, invece, comportato alcun cambio di controllo ma è stato funzionale all’omologa di una transazione fiscale (analoga per condizioni a quella del piano di risanamento della Sampdoria) cui, come detto, l’Agenzia delle Entrate aveva aderito preventivamente al deposito in Tribunale del relativo ricorso [35]. 

Neppure la sanzione introdotta con la modifica all’art. 90, commi, 4 bis. 4 ter e 4 quater, NOIF (divieto di acquisto di calciatori per due o più sessioni di calciomercato) sembra “strettamente necessaria” per dissuadere le squadre dal ricorso agli strumenti di regolazione della crisi in continuità diretta (o, meglio, per controbilanciare il vantaggio competitivo ottenuto dalla società grazie alla ristrutturazione del proprio debito rispetto alle altre partecipanti al medesimo campionato). Infatti, la federazione potrebbe ragionevolmente raggiungere il medesimo scopo ricorrendo all’applicazione di sanzioni diverse, meno invasive o comunque graduate a seconda delle circostanze del caso (v. infra sub 5).  Tale diverso approccio sarebbe ancora più giustificato se si considera che la FIGC, disponendo la revoca dell’affiliazione nel caso di ricorso a strumenti di regolazione della crisi in continuità indiretta, ha di fatto già escluso la possibilità per le società di calcio di avvalersi della possibilità di cedere l’azienda calcistica nell’ambito di una procedura concorsuale (diversa dalla liquidazione giudiziale) (v. supra sub 2). 

 

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